Arti e Tradizioni Popolari

Arti e tradizioni popolari

​Organizzate su due piani, le collezioni dedicate alle Collezioni Arti e Tradizioni Popolari espongono oggetti e documenti riferiti agli usi popolari italiani, caratteristici delle diverse regioni, affrontando temi quali la gestione della terra e delle risorse (i sistemi di trasporto, il lavoro agricolo-pastorale, ecc.), le pratiche del vivere e dell’abitare, e le attività festive e rituali (strumenti musicali, spettacoli di piazza, pratiche della magia e della spiritualità popolare, ecc.).

Le origini

La necessità di raccogliere e tutelare i documenti etnografici italiani in un’apposita sede era già stata avvertita da Luigi Pigorini, direttore del Regio Museo Preistorico Etnografico situato nella sede del Collegio Romano. In una relazione inviata nel 1881 al Ministero della Pubblica Istruzione, Pigorini richiedeva spazi per allestire una nuova sezione del Museo che avrebbe dovuto “comprendere ciò che hanno tuttora di speciale le nostre popolazioni campagnole nelle industrie, negli utensili ed ornamenti, nelle fogge degli abiti”, ma la sua richiesta non venne accolta.

Nel 1905 Loria, dopo numerose spedizioni in paesi extraeuropei, si rese conto della necessità di compiere ricerche anche in Italia, per documentare quella cultura agropastorale che, già agli inizi del 1900, stava subendo profonde modifiche.

Loria si proponeva di raccogliere documenti e manufatti popolari italiani e di promuovere lo studio del folklore: una ricerca, quella sugli usi e i costumi popolari, a suo avviso di alto valore civile, che avrebbe potuto contribuire a far conoscere gli Italiani agli Italiani, rafforzando in tal modo il pensiero e il sentimento nazionali.

La storia e le origini delle collezioni

L’operato di Lamberto Loria

 

La necessità di raccogliere e tutelare i documenti etnografici italiani in un’apposita sede era già stata avvertita da Luigi Pigorini, direttore del Regio Museo Preistorico Etnografico situato nella sede del Collegio Romano. In una relazione inviata nel 1881 al Ministero della Pubblica Istruzione, Pigorini richiedeva spazi per allestire una nuova sezione del Museo che avrebbe dovuto «comprendere ciò che hanno tuttora di speciale le nostre popolazioni campagnole nelle industrie, negli utensili ed ornamenti, nelle fogge degli abiti», ma la sua richiesta non venne accolta.

Nel 1905 Lamberto Loria, dopo numerose spedizioni in Russia, India, Egitto, Nuova Guinea ed Eritrea, si rese conto della necessità di compiere ricerche anche in Italia, per documentare quella cultura agropastorale che, già agli inizi del 1900, stava subendo profonde modifiche.

Loria si proponeva di raccogliere documenti e manufatti popolari italiani e di promuovere lo studio del folklore: una ricerca, quella sugli usi e i costumi popolari, a suo avviso di alto valore civile, che avrebbe potuto contribuire a far conoscere gli Italiani agli Italiani, rafforzando in tal modo il pensiero e il sentimento nazionali.

I progetti di Loria si concretizzarono nel settembre del 1906 con la costituzione a Firenze del primo Museo di Etnografia Italiana. Il Museo raccoglieva categorie di oggetti e documenti riferiti agli usi popolari italiani, caratteristici delle diverse regioni, raccolti agli inizi del 1900 da Loria e altri suoi pari e illustri collaboratori: Aldobrandino Mochi, Alessandro D’Ancona, Francesco Baldasseroni, Giuseppe Pitré e Raffaele Corso.

Dai 2.000 oggetti esposti nel 1906, già nel 1908 la collezione era arrivata a comprenderne 5.000. Nel 1906 Ferdinando Martini, Ministro della Pubblica Istruzione e vice presidente del Comitato per l’Esposizione Internazionale che si sarebbe tenuta nel 1911, aveva proposto a Loria di trasformare il Museo in Mostra Etnografica, garantendogli, alla chiusura dell’Esposizione, la realizzazione del Museo Nazionale di Etnografia Italiana posto sotto la tutela dello Stato.

Nel 1908 Loria accettò la proposta di Martini e iniziò a coordinare una serie di ricerche finalizzate all’acquisizione di materiali provenienti dalle varie regioni, alle quali presero parte esponenti del mondo accademico, insegnanti, medici, studiosi locali, sacerdoti, collaboratori sparsi nelle diverse province d’Italia.

Nel 1911 la raccolta comprendeva 30.000 oggetti etnografici riferiti agli usi popolari italiani, caratteristici delle diverse regioni e il Museo era solo parte di un più vasto programma culturale e cognitivo, che prevedeva un’indagine rigorosa sulla diversità delle usanze e dei costumi, delle espressioni di pratiche tradizionali, dei vari aspetti della ritualità localizzabili nel tempo e nello spazio.

 
La Mostra Etnografica del 1911

Il 1911 è l’anno del grande giubileo laico, la festa con cui si volevano celebrare i progressi fatti dalla nazione negli ultimi cinquant’anni attraverso l’Esposizione Internazionale ( che si svolse parallelamente a Firenze, Roma e Torino). A Roma i festeggiamenti per le celebrazioni erano concentrati nella Mostra Etnografica e nella Mostra Regionale, situate nella zona urbanizzata dell’ex Piazza d’Armi, e nelle iniziative collaterali organizzate sulla riva destra del Tevere.

Asse portante dell’intera esposizione era una sorta di viaggio attraverso l’Italia realizzato con quattordici padiglioni regionali, edifici che riproducevano gli elementi dei modelli classici di maggiore bellezza della regione di rappresentanza, circondati da una quarantina di “gruppi etnografici”, veri e propri quadri viventi, dove ad esempio Napoli era stata ricostruita attraverso uno spaccato del vecchio quartiere di Santa Lucia e la Sardegna attraverso i nuraghi e le case del Campidano.

La Mostra Etnografica fu preceduta da un enorme lavoro di ricerca e di schedatura finalizzato alla costituzione del nuovo Museo Nazionale di Etnografia Italiana che nelle intenzioni di Lamberto Loria avrebbe enormemente favorito gli studi in campo folklorico.

Il primo Congresso di Etnografia Italiana

Per mantenere vivo l’interesse per la realizzazione del Museo di Etnografia, a conclusione dell’Esposizione, nell’ottobre del 1911, si svolse il primo Congresso di Etnografia Italiana, con due obiettivi: promuovere gli studi intorno agli usi e ai costumi del popolo italiano, e definire di linee metodologiche per l’ordinamento del futuro Museo Nazionale di Etnografia Italiana, avendo bene in mente il suo ruolo sociale di conservazione e tutela delle attività tradizionali regionali.

Dalla fondazione del Museo a oggi

La morte di Lamberto Loria, avvenuta il 6 aprile 1913, e il sopraggiungere della guerra mondiale impedirono la realizzazione del Museo. Finita la guerra l’interesse per le tradizioni popolari si riaccese e con il Regio Decreto del 10 settembre 1923 n. 2111 venne istituito ufficialmente il Museo.

Sempre nel 1923 la riforma aveva decretato l’insegnamento dell’etnografia regionale nelle scuole primarie e complementari, mentre nel 1927 il Ministro della Pubblica Istruzione auspicava che la Facoltà di Lettere e Filosofia “avesse il necessario compimento nell’esame dei costumi e delle regioni con le loro passioni, le loro memorie, le loro tradizioni”.

Nel 1936 il problema della sede non era ancora stato risolto. La soluzione sembrò apparire nel quadro dell’Esposizione Universale che si sarebbe tenuta a Roma nel 1942, poiché in essa veniva inclusa una mostra di tradizioni popolari e a essa assegnato il Palazzo delle Tradizioni Popolari all’EUR, che successivamente diverrà la sede permanente del Museo.

Purtroppo ancora una volta gli eventi bellici ritarderanno l’ultimazione del Museo e la sistemazione definitiva della raccolta etnografica che, conservata in delle casse a Villa d’Este, sarà notevolmente danneggiata a causa del bombardamento di Tivoli nel 1943.

Solo nel 1954 venne firmato il contratto d’affitto del Palazzo delle Tradizioni Popolari all’EUR e il 20 aprile 1956 fu inaugurato il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

Nel 2016 il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari entra a far parte del Museo delle Civiltà.

 

Il percorso museale

Il percorso museale è articolato in tre grandi aree tematiche: La terra e le risorse; Vivere e abitare; Riti, feste e cerimonie.

Nella prima sezione, La terra e le risorse, sono affrontati i temi relativi al trasporto, al lavoro agricolo e pastorale, al lavoro marinaro e al lavoro artigianale. Nella seconda, Vivere e abitare, compare il mondo domestico con i suoi arredi, i gesti del quotidiano, le fasi del ciclo della vita umana. La terza sezione, Riti feste e cerimonie, descrive le varie cerimonie, la musica, i giochi e gli spettacoli, gli abiti e gli ornamenti tradizionali.

Il presepe

Lamberto Loria ha il merito di aver raccolto, in occasione della Mostra di Etnografia del 1911, la collezione di figure presepiali delle varie regioni italiane oggi conservate nel Museo. Si tratta di oltre mille pezzi che offrono un contributo fondamentale alla comprensione di quell’interessante e poliedrico fenomeno storico-antropologico rappresentato dal presepe.

Tra i presepi un posto a parte occupano le straordinarie figure napoletane del Settecento e dell’Ottocento, una preziosa raccolta che permetteva di “rappresentare” tutte le tematiche ispirate ai Vangeli, dall’Annunciazione alla Vergine alla Natività, sino alla Fuga in Egitto, celebrando il grande evento del “mistero”, spettacolo sacro e profano al tempo stesso.

Arte italiana per eccellenza, il presepe “paradiso dei contrasti” coniuga sapientemente meraviglia e spettacolo, storia religiosa e pagana al tempo stesso, e registra, oggi, una nuova fortuna grazie al lavoro dei molti artigiani napoletani che espongono nelle bancarelle di San Gregorio Armeno un’incredibile varietà di figure riflesso di quell’immaginario devoto, tipicamente italiano, che resiste, ancor oggi, nell’era della globalizzazione.

Il presepe nella sua complessa storia di scenografie, colori, luci e sculture dimostra la sua perenne vitalità e testimonia, ancora una volta, il grande patrimonio costituito dalla tradizione perpetrata grazie all’opera svolta dai figurari, architetti, scenografi e pittori che ne giustificano il successo e la grande diffusione.