Sono passati 70 anni dai primi ritrovamenti di Pithekoussai, il più antico insediamento greco nel Mediterraneo Occidentale (VIII secolo a.C.), sull’isola di Ischia, ma oggi il sito torna a essere al centro di nuove importanti scoperte.

Sotto la direzione della Soprintendente per l’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli, Teresa Elena Cinquantaquattro, coordinatrice e direttore scientifico del progetto, presso il Servizio di Bioarcheologia del Museo delle Civiltà di Roma è stato svolto uno studio interdisciplinare che ha coinvolto anche ricercatori dell’Università di Padova, dell’Università l’Orientale di Napoli, del, dell’Università del Kent e della Sapienza Università di Roma e che getta nuova luce su una delle pagine più importanti dell’archeologia della Magna Grecia.

Oggetto della ricerca è la cosiddetta Tomba della Coppa di Nestore (Cremazione 168).

La Tomba fu portata alla luce dall’archeologo e scopritore dell’antica Pithekoussai, Giorgio Buchner, nel corso delle campagne di scavo tra il 1954 e il 1955 e deve il suo nome a una kotyle d’importazione della Ionia settentrionale (ultimi decenni VIII sec. a.C.) recante la celebre iscrizione: “Sono la coppa di Nestore, buona a bersi. Chiunque berrà da questa coppa sarà preso da Afrodite dalla bella corona”. I tre versi dell’iscrizione alludono alla famosa coppa descritta nell’Iliade di Omero e sono ritenuti tra le più antiche attestazioni scritte della tradizione omerica.

Il riesame dei resti scheletrici cremati rinvenuti nella tomba è appena stato pubblicato sulla prestigiosa rivista PLOS ONE in un articolo dal titolo “Who was buried with Nestor’s Cup? Macroscopic and microscopic analyses of the cremated remains from Tomb 168 (second half of the 8th century BCE, Pithekoussai, Ischia Island, Italy)” che rimette in gioco l’interpretazione della sepoltura.

L’indagine bioarcheologica, nata in un clima di sinergica intesa tra le diverse istituzioni, è stata condotta nell’ambito del dottorato di ricerca di Melania Gigante, bioarcheologa e oggi ricercatrice al DBC dell’Università di Padova, ma ha coinvolto una nutrita schiera di studiosi, tra cui le ricercatrici del Servizio di Bioarcheologia del Museo delle Civiltà: Alessandra Sperduti per le analisi antropologiche e Francesca Alhaique per quelle archeozoologiche. Infatti, uno degli elementi di novità introdotti dallo studio è proprio che i frammenti ossei cremati recuperati dalla tomba includevano sia resti umani sia resti faunistici, evidenza che aggiunge un nuovo elemento utile alla ricostruzione del rituale funerario.

Allo screening morfologico, che ha permesso di identificare la presenza di ovicaprini, volatili e probabilmente un cane, è poi seguita l’analisi istologica. Come spiega Melania Gigante “Nella sua architettura interna, l’osso differisce tra le diverse specie. L’esame della microstruttura ossea ha dunque consentito il riconoscimento di altri frammenti animali frammisti al materiale combusto umano”. L’autrice riferisce poi della seconda importante evidenza scaturita dallo studio: “Questa indagine ha gettato nuova luce sull’identità biologica di chi venne sepolto con la Coppa di Nestore. Le analisi istologiche sui reperti umani hanno identificato la presenza nella tomba di almeno tre individui adulti di diversa età alla morte. Contrariamente a quanto riportato in precedenza – continua la ricercatrice – non è stato possibile individuare la presenza di un individuo in accrescimento”.

“Lo studio ha avuto una duplice valenza – conclude Luca Bondioli, docente di paleontologia umana all’Università di Padova -, da un lato, ha evidenziato la validità e la necessità di tecniche avanzate per lo studio dei resti cremati, dall’altro ha aperto a nuovi scenari di re-interpretazione degli assetti culturali e sociali dei più antichi migranti greci in Italia.”

Link all’articolo:  https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0257368

Autori e affiliazioni

Melania Gigante1, Alessia Nava2-3, Robert Paine4, Francesca Alhaique5, Ivana Fiore4, Carmen Esposito6, Alessandra Sperduti5-7, Jacopo Bonetto1, Teresa Elena Cinquantaquattro7-8, Bruno d’Agostino7, Luca Bondioli1

1. Dipartimento dei Beni Culturali, Università di Padova
2. DANTE-Lab, Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche e Maxillo Facciali, Sapienza Università di Roma
3. Skeletal Biology Research Centre, School of Anthropology and Conservation, University of Kent
4. Dipartimento di Biologia Ambientale, Sapienza Università di Roma
5. Servizio di Bioarcheologia, Museo delle Civiltà
6. School of Natural and Built Environment, Queen’s University Belfast
7. Dipartimento di Asia Africa e Mediterraneo, Università di Napoli “L’Orientale”
8. Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli