ANIMALI, VEGETALI, ROCCE E MINERALI: LE COLLEZIONI ISPRA

> Verso un museo multispecie

ANIMALI, VEGETALI, ROCCE E MINERALI:
LE COLLEZIONI ISPRA

> Verso un museo multispecie

Il 14 dicembre 2022 il Museo delle Civiltà ha presentato Animali, Vegetali, Rocce e Minerali: le Collezioni ISPRA > Verso un museo multispecie, un nuovo allestimento dedicato alle collezioni paleontologiche e lito-mineralogiche dell’ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. 

Concepita come introduzione alla storia e ai metodi di ricerca di queste collezioni, la presentazione presso il Salone d’Onore al primo piano del Palazzo delle Scienze costituisce l’avvio della progressiva musealizzazione delle collezioni ISPRA al Museo delle Civiltà, che si completerà entro il 2024 al secondo piano del museo, integrando e completando il percorso delle collezioni preistoriche. 

Il progetto è il risultato della collaborazione tra la Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, attraverso il Museo delle Civiltà, e l’ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale / Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, con il sostegno di ALES-Arte Lavoro e Servizi spa.

Le collezioni

Le collezioni ISPRA – composte da oltre 150.000 reperti e manufatti – sono attualmente suddivise in tre sezioni, formatesi nella seconda metà del XIX secolo e ampliatesi attraverso attività di rilevamento del territorio italiano, acquisti e donazioni. 

Le Collezioni Paleontologiche si articolano in quattro aree:

  • Collezione Generale (circa 76.000 reperti), che include prevalentemente invertebrati di provenienza italiana;
  • Collezioni Storiche (circa 20.000 reperti), che contengono, fra gli altri, la quasi totalità dei Fossili Tipo rappresentati da trilobiti, echinodermi, ammoniti, bivalvi, gasteropodi, rettili e pesci;
  • Collezione Vertebrati (circa 3.000 reperti), costituita prevalentemente da reperti di mammiferi del Pleistocene provenienti da Lazio, Toscana e Sicilia;
  • Collezione Vegetali (circa 600 reperti), che comprende fossili vegetali provenienti da località italiane e internazionali. 

Le Collezioni Lito-Mineralogiche sono suddivise in tre aree:

  • Reperti litologici (circa 32.800 reperti), connessi principalmente alla Raccolta della Carta Geologica d’Italia;
  • Reperti minerali (circa 3.100 reperti), suddivisi in Collezione Mineralogica Sistematica, Raccolta Giacimenti Minerari e Collezioni Maresca e Zolezzi;
  • Reperti edilizi e decorativi (c 5.500 elementi), fra cui le Collezioni di Marmi Pescetto e De Santis, la Collezione di Marmi Italiani e quella dei Saggi Artistici ed Ornamentali. 

Le Collezioni Storiche racchiudono oggetti di varia tipologia che documentano la storia e l’attività del Regio Ufficio Geologico:

  • Plastici geologici storici, realizzati a corredo della Carta Geologica d’Italia;
  • Strumentazione tecnica per l’attività di rilevamento, studio e ricerca (comprendente circa 240 strumenti);
  • Documentazioni, opere d’arte e cimeli quali busti, quadri, medaglie e pietre litografiche.

L’inaugurazione 

Per avviare queste riflessioni il Museo delle Civiltà propone, a partire dall’inaugurazione, una serie di attività di approfondimento organizzate in collaborazione con una pluralità di esperti e di altre istituzioni

Intrecciando scienza, scienze umane e sociali, arte e pensiero speculativo, le attività proposte analizzano in particolare la nozione elaborata dalla filosofa e biologa Donna Haraway di “compost” e “compostaggio”, che è il risultato di un processo biologico – l’ossidazione e umificazione delle materie organiche da parte da micro e macro-organismi – che rimanda ai concetti di suolo, scarto e fertilità. Riscoprendo la capacità internamente trasformativa delle materie, il Salone delle Scienze si riconfigura così come l’ambiente fertile e vitale in cui prefigurare le infinite potenzialità derivanti dall’alleanza tra tutte le forme del vivente e la genesi di forme di conoscenza ibride e interdisciplinari.

La tarsia marmorea di Mario Tozzi

L’autore della tarsia al centro del pavimento del Salone d’Onore del Palazzo delle Scienze è Mario Tozzi (Isola di Fano, 1895 – Saint Jean du Gard, 1979), artista che, dopo un’iniziale fase post-impressionista, adottò uno stile classicista che si approfondì nel rapporto con gli artisti del Novecento italiano, di cui Tozzi partecipò alla prima mostra nel 1926, incontrando Margherita Sarfatti e Raffaello Giolli.

Divenuto tramite fra Francia (dove risiede) e Italia, Tozzi incarna la rivendicazione di un carattere italiano distinto dall’École de Paris che lo porta a collaborazioni e confronti con artisti quali Massimo Campigli, Giorgio De Chirico e il fratello Alberto Savinio, Gino Severini, René Paresce, Filippo De Pisis e il critico Waldemar George, sostenitore di un possibile classicismo mediterraneo.

Dal 1935 al 1944 Tozzi si trasferì in Italia per seguire alcuni progetti di decorazione murale, fra cui gli affreschi Paradiso perduto per il Palazzo di Giustizia di Milano e Il marinaio per la rotonda d’ingresso del Padiglione centrale della Biennale di Venezia, nonché la tarsia marmorea del Palazzo delle Scienze a Roma. Per la tarsia Tozzi ideò una scena suddivisa in più riquadri in cui sono rappresentate le discipline della Cosmografia, della Fisica, della Fisiologia, della Paleontologia e della Zoologia. Al centro della tarsia campeggia la rappresentazione della dea romana Minerva, le cui origini discendono da divinità etrusche e dalla dea greca Atena. Minerva era, per gli antichi Romani, la dea delle virtù eroiche e della guerra per giusta causa o per difesa, ma anche della sapienza e, in quanto tale, protettrice delle arti utili o funzionali (architettura, artigianato, geometria, ingegneria, matematica) e delle scienze in generale. I suoi attributi erano lo scudo, l’elmo e la lancia, che nella raffigurazione di Tozzi sono deposti a terra, mentre la dea tiene fra le mani un libro aperto e una penna d’oca, auspicio di pace e metafora di esaltazione della cultura.

Gli interventi di arte contemporanea:
Adriana Bustos, Marzia Migliora, Otobong Nkanga 

Adriana Bustos (1965, Buenos Aires; vive e lavora a Buenos Aires, Argentina) riconfigura le cosmogonie e le varie rappresentazioni della Terra create nel passato, mescolandovi deliberatamente patrimoni iconografici provenienti da differenti ambienti e geografie culturali. Nella tela Map of Reincarnation (“Mappa della reincarnazione”, 2021) l’artista reinterpreta un disegno di Athanasius Kircher (di cui il Museo delle Civiltà possiede parte della celebre wunderkammer risalente al XVII secolo) dipingendo i cicli della vita umana e le storie della sua esplorazione come un sistema interdipendente con la Terra stessa e i suoi movimenti geologici, dove culture e nature si fondono in un’unica entità. 

Marzia Migliora (1972, Alessandria; vive e lavora a Torino) elabora nelle sue opere una rappresentazione critica delle conseguenze che un’economia basata sulle risorse fossili sta avendo sul pianeta, raccontando come la tensione umana al progresso abbia un impatto diretto sulle compromesse ecologie contemporanee. L’installazione ambientale Partitura multispecie andante (2022) – commissionata e prodotta in occasione della presentazione al Museo delle Civiltà delle collezioni ISPRA – consiste in una sonorizzazione delle collezioni stesse realizzata in collaborazione con lo storico studio romano di rumoristi per il cinema Marinelli. Evocando paesaggi sonori prodotti dall’essere umano ma che imitano i suoni della natura, l’installazione non solo riporta in vita l’eco originaria dei milioni di vite celate in questi fossili, rocce e minerali divenuti reperti museali, ma riafferma l’inevitabile connessione della specie umana con le altre specie viventi. 

Otobong Nkanga (1974, Kano, Nigeria; vive e lavora ad Anversa, Belgio) si rivolge alle storie nascoste all’interno della geologia per sviluppare complessi intrecci, sedimentazioni e sistemi multispecie che raccontano la problematica relazione tra gli esseri umani e l’ambiente. Nei disegni delle serie Social Consequences I e II (“Conseguenze sociali I e II”, 2009) l’artista dà forma alle conseguenze sociali che l’azione estrattiva ha generato a livello globale e raffigura le correlazioni esistenti tra attività umane compiute in epoche diverse e la loro eredità sull’ecosistema terrestre giunto alla fine dell’epoca del cosiddetto Antropocene (ovvero l’era del dominio umano sulla Terra).