Come immaginare un museo decoloniale?

Testo e installazione
A cura di Gaia Delpino, Rosa Anna Di Lella, Claudio Mancuso
Con la collaborazione di Pietro Dalmazzo
Museo delle Civiltà

Depositi aperti è stata un’installazione che ha portato i depositi delle collezioni dell’ex Museo coloniale nel cuore degli spazi museali del MuCiv. È stata realizzata per rendere visibile a tutti, anche solo parzialmente, oggetti che sembrano nascosti alla vista e che lo sono stati per diversi decenni. Vogliamo che questo patrimonio emerga dall’oblio in cui è stato relegato per anni.
Gli oggetti dell’ex Museo coloniale di Roma sono attualmente nei depositi del Museo delle Civiltà, sono consultabili e aperti alla ricerca e alla sperimentazione artistica già da qualche anno, ma la loro ubicazione li ha resi fino ad ora fruibili da un pubblico ridotto di persone.
Questa installazione è stata una prima tappa di una serie di attività espositive che condurranno all’allestimento permanente.

Depositi aperti è un laboratorio che darà avvio a un processo partecipativo che inizierà a Novembre 2021 e proseguirà per tutto il 2022, con la finalità di creare occasioni di confronto, dialogo e discussione sulle collezioni, sull’eredità del colonialismo e sui suoi immaginari. Sarà un percorso che ci porterà a pensare collettivamente la nuova sezione dedicata alle collezioni coloniali.
L’installazione è la base di partenza per avviare una serie di incontri e consultazioni insieme a persone che si occupano a diverso titolo dell’eredità coloniale nel contemporaneo. Antropologi culturali, artisti, scrittori, storici, giornalisti e testimoni saranno chiamati a scegliere oggetti dai depositi e a presentarli pubblicamente. Accanto a questo programma di consultazioni aperte, Depositi aperti prevedrà un calendario di presentazioni di libri, di conferenze e tavole rotonde sul tema del colonialismo e delle sue narrazioni.

Depositi aperti è un progetto di lunga durata che ci permetterà di mettere a confronto visioni e memorie sulle rappresentazioni e sugli immaginari coloniali a partire dagli oggetti raccolti durante l’esperienza coloniale italiana. Potrebbe essere problematico che a coordinare questo processo ci sia un gruppo di curatori europei. Siamo consapevoli che il colonialismo è stato parte della nostra storia e che questo possa generare alcune criticità a proposito della prospettiva della narrativa museale.
Siamo anche consapevoli però che è quanto mai urgente e necessario che il colonialismo italiano venga trattato negli spazi pubblici, tanto più perché è esistito un Museo coloniale statale le cui collezioni sono state per quasi cinquanta anni chiuse, negate, rimosse. In attesa che negli staff dei musei statali ci sia una rappresentazione più inclusiva dovuta ai processi pubblici di selezione che vedano coinvolgimenti più ampi, crediamo sia necessario nel caso delle collezioni coloniali iniziare questo processo di esposizione ora, tanto più che anche nel dibattito pubblico tante sono le voci che denunciano l’esigenza di rivolgere l’attenzione sul colonialismo e sulle sue memorie. L’attivazione di un percorso partecipativo, basato su un costante confronto aperto che influirà sulla nostra metodologia e sull’esposizione in senso stretto, è da intendersi anche come una modalità per ovviare a queste eventuali criticità.

Le collezioni dell’ex Museo Coloniale di Roma. La storia

Le collezioni dell’ex Museo coloniale di Roma sono diventate parte del Museo delle Civiltà nel 2017 in quello che è stato l’ultimo passo di una storia densa di stratificazioni.
Il Museo coloniale di Roma fu inaugurato da Mussolini nel 1923 al Palazzo della Consulta, sede del Ministero delle Colonie, e comprendeva materiali già raccolti nelle colonie a partire dagli anni ’10 del Novecento. Nel 1935 il Museo venne trasferito in via Aldrovandi e, dopo la proclamazione dell’Impero nel 1936, rinominato Museo dell’Africa Italiana. Negli anni successivi il Museo rimase chiuso per riscontro inventariale e riaprì solamente nel 1947, nello stesso anno in cui l’Italia rinunciava formalmente alle colonie, pur mantenendo il protettorato sulla Somalia. Il Museo chiuse definitivamente ad inizio degli anni Settanta, dopo che le collezioni erano state devolute all’Istituto Italiano per l’Africa. Solo nel 2017 il Museo passò al Ministero della Cultura entrando così al Museo delle Civiltà.

La finalità originaria del Museo era a carattere propagandistico: l’espansione coloniale andava fatta conoscere alla popolazione italiana che, tramite la fruizione del Museo, doveva acquisire consapevolezza razziale e formarsi come una nazione di colonizzatori. Gli oggetti esposti alla prima apertura erano atti a questi scopi, raccolti nelle colonie italiane della Libia, Eritrea e Somalia e già esposti al pubblico in diverse fiere ed esposizioni coloniali. Le collezioni del Museo si sono andate poi ampliando nel corso dell’esperienza coloniale Italiana ed oggi comprendono circa 12.000 oggetti a carattere etnografico, storico, artistico, antropologico, archeologico, artistico ed architettonico.
A questi oggetti si stanno aggiungendo oggi altri che vengono donati al Museo delle Civiltà da persone che sentono l’esigenza di non far cadere nell’oblio il passato coloniale.

Gli oggetti delle collezioni dell’ex Museo coloniale sono portatori di memorie e storie di dominio e violenza: ci mostrano lo sguardo degli ex dominatori sugli ex colonizzati. Eppure ci domandiamo: possono diventare veicolo anche di racconti alternativi, subalterni e di resistenza? Possiamo, a partire da questa collezione coloniale, riflettere criticamente sul passato coloniale italiano?

Perché allestire le collezioni dell’ex Museo coloniale?

Il Museo coloniale con le sue collezioni eterogenee e controverse ha avuto una storia complessa, fatta di veloci aperture e chiusure, di trasferimenti, di elementi esplicitati e di non-detti, di percorsi di ricerca tracciati e chiari così come di vicoli ciechi di non-conoscenza. Questa complessità rende le collezioni un tempo appartenute a questo museo da approcciare con cautela, da guardare da vari punti di vista, da rileggere oggi con una doppia consapevolezza.
Il primo aspetto di cui vogliamo essere consapevoli è che la storia di questo museo può dirci molto del nostro passato coloniale nei suoi diversi sviluppi e momenti. Possiamo inserire il museo e le sue collezioni in un quadro storico molto più ampio, letto e documentato da storici e studiosi che forniscono chiavi di interpretazione sul passato coloniale e sui suoi legami con l’oggi. Questo ci fornisce un punto fermo: quello di guardare ad ogni singolo oggetto del museo come ad un elemento che ci indica il modo che abbiamo avuto nel passato di rappresentare le persone che vivevano nei territori divenuti poi colonia italiana.
La seconda consapevolezza con cui leggiamo le collezioni dell’ex Museo coloniale nasce dalle lacune e dalle incertezze delle informazioni che raccogliamo e cerchiamo, dalla constatazione che non riusciremo mai del tutto a ricostruire questo passato, questo sguardo e questa visione con il rigore e la precisione che si richiede al lavoro dei curatori e museologi di un’istituzione museale. il Museo coloniale non ha avuto o conservato strumenti di archiviazione propri dei musei scientifici, che negli archivi conservano traccia delle biografie culturali e sociali degli oggetti raccolti, attraverso i nomi dei donatori e dei venditori, il momento della raccolta e del passaggio all’istituzione. Poco sappiamo di queste raccolte coloniali, quasi nessuna informazione su chi ha raccolto gli oggetti, in quale contesto, per quale finalità.

Il museo e le sue collezioni sono materiale sfuggente, mobile, la cui interpretazione non è mai definitiva e che rende il nostro procedere zoppicante, in bilico tra certezze e incertezze. Ciò che più colpisce guardando alle collezioni coloniali è quella che alcuni studiosi chiamerebbero una “afonia dell’altro”, l’invisibilità del soggetto che il museo rappresentava, la mancanza totale di una qualsiasi considerazione della sua complessità di essere umano. E al contempo, la sua iper-rappresentazione come strumento di esaltazione dell’italiano, conquistatore, dominatore, razzialmente superiore, portatore di libertà e civiltà.
La complessa storia di questo Museo ripercorre in parte la storia del colonialismo italiano, dalle prime esplorazioni in Corno d’Africa fino alla fase post-coloniale. Il Museo e le sue collezioni possono pertanto diventare uno strumento per leggere e ri-leggere criticamente la storia delle relazioni e dei rapporti dell’Italia con alcuni paesi africani, e permetterci oggi di analizzare la nostra eredità coloniale lungo un percorso fatto di memorie e rimozioni.

Quale museo per le collezioni coloniali?

Alcune riflessioni per iniziare

Sarà un museo dinamico, aperto, un laboratorio in trasformazione, con un nucleo permanente pensato per essere aggiornato e modificato nel tempo e spazi per mostre temporanee e incontri. Avrà un certo grado di indefinitezza e di apertura che permetta di presentare i temi delle sezioni non come contenuti definitivi e chiusi, ma come luoghi di creazione condivisa. È un museo pensato come spazio di negoziazione e ridefinizione del significato degli oggetti, attraverso una pluralità di punti di vista che includano anche la voce e la prospettiva storica degli ex colonizzati, delle diaspore, dei pubblici del museo. Sarà un luogo dove dibattere, confrontarci, confliggere.

Sarà un museo riflessivo e antropologico dove costruire spazi allestitivi de-costruttivi, installazioni dense e critiche in cui gli oggetti, le fotografie e i documenti esposti non siano elementi dati per neutri e auto-evidenti, ma possano diventare materia per una lettura contemporanea. È immaginato come uno spazio in cui diversi medium – oltre il semplice testo –possano aiutare a rendere visibili le cornici critiche e interpretative scelte, cercando di evitare il perpetrarsi, nell’atto di esporre, di meccanismi di violenza e sopraffazione che hanno caratterizzato la raccolta e l’esposizione degli oggetti nei discorsi di propaganda coloniale.

Sarà un museo che tenterà di restituire soggettività alle persone rappresentate, al fine di rendere reversibile il processo di e riduzione a oggetto e a “tipo” avvenuto all’interno delle teorie evoluzioniste, razziste e museografiche di Ottocento e Novecento.
Sarà un museo multivocale, aperto alla collaborazione e alla presentazione di prospettive differenti per leggere e ri-leggere criticamente la storia delle relazioni e dei rapporti dell’Italia con alcuni paesi africani attraverso un processo – che immaginiamo lungo e complesso – di rilettura delle (molte e diverse) eredità coloniali, includendo nella narrazione una pluralità di sguardi e visioni, anche di inevitabili conflitti.

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