‘Ciccare’ il betel, un’abitudine comune a Re e contadini

[a cura di Fiorella Rispoli]

Non è raro, per il viaggiatore che si avventuri fuori delle grandi città turistiche dell’Asia e, in particolar modo del Sudest asiatico continentale e insulare, incontrare, ad esempio in un piccolo mercato di villaggio, anziani che sorridono mostrando labbra tinte di un rosso cupo e denti particolarmente scuri. Non è mancanza di igiene, né l’esito di un ‘rossetto fai da te’: quelle persone hanno solo l’abitudine di masticare -o meglio ‘ciccare’- un miscuglio a base di seme di palma di Betel.Questa abitudine, praticata da un quinto della popolazione mondiale concentrata in massima parte in Asia, ha profonde radici culturali e sociali.

Ingredienti

La palma di Betel -Areca catechu L. – è una palma originaria dell’India e dell’Asia sud-orientale. Il suo seme viene raccolto quando è maturo, se lo si vuole di sapore amarognolo, o quando è ancora verde, se lo si desidera di sapore dolciastro.

Il betel è però solo l’ingrediente base della ‘pallottolina’ che si mastica; a questo, infatti, bisogna aggiungere almeno due ingredienti: le belle foglie a cuore di un vitigno delle piperacee (Piper betle L.) e la calce, ottenuta dal calcare delle montagne (Sudest asiatico continentale) o dalla valva di molluschi e, in alcuni casi, dal corallo (Sudest asiatico insulare).Alla calce polverizzata dopo essere stata arrostita si aggiunge l’acqua per creare una mistura, cui si possono poi aggiungere varie spezie per accrescerne la fragranza: cannella, coriandolo, cardamomo, pepe, chiodo di garofano, canfora o muschio, preziosi aromi molti dei quali provenienti dalle Isole Molucche. Sulla foglia di betel è stesa questa mistura assieme ad alcune fettine del seme di areca tagliate con speciali ‘tronchesine’ o con uno speciale coltellino. La foglia è poi ripiegata in innumerevoli modi e la ‘pallottolina’ così creata è messa in bocca, tra i denti e la guancia, e lasciata lì per ore.

Proprietà mediche e non…

Succhiare la pallottolina di betel conferisce una blanda euforia, aiuta a non sentire troppo la fame e la stanchezza quando si lavora nei campi sotto il sole equatoriale, ma va ribadito che né il betel, né la foglia di Piper betle sono vere e proprie droghe. L’effetto è provocato, infatti, dall’arecolina, un alcaloide contenuto nel seme di areca con proprietà -non del tutto saluberrime- simili a quelle della nicotina: attiva la salivazione, incrementa la sete e l’attività muscolare, ma riduce l’appetito. L’insieme dei due ingredienti principali ha proprietà stimolanti, curative e antisettiche (digestivo, cardiotonico, vermifugo, astringente), ma il betel ha anche molte altre proprietà.

In Paesi in cui la vita è strettamente legata all’agricoltura (o alla pesca), le credenze animistiche non sono mai state abbandonate del tutto e spesso si fondono con la religione prevalente o di Stato (buddhismo, islamismo, hinduismo). In Asia sud-orientale, ad esempio, si considera il betel un tramite per entrare in contatto con gli antenati e chiedere la loro protezione; inoltre è molto usato come dono al defunto in occasione dei funerali: il betel aiuterà il ‘caro estinto’ sia nel viaggio nel mondo degli spiriti, sia nell’ottenere una buona reincarnazione.Le sue proprietà, inoltre, ne hanno fatto un ingrediente irrinunciabile anche per la sfera sessuale: ad esempio, è elencato come ‘ingrediente necessario’ nel Kama Sutra; non a caso in Vietnam la foglia di Piper è simbolo degli organi genitali femminili e il seme di areca di quelli maschili.

In realtà, la cicca di betel non è affatto afrodisiaca, funziona molto bene, invece, come fattore di aggregazione sociale, come da noi ‘si va a prendere un caffè o un aperitivo’ o in Inghilterra alle cinque del pomeriggio ci si ferma per un tè: preparare la cicca è un rito -certo non comparabile alla cerimonia del tè in Giappone- che gioiosamente unisce più persone intorno agli ingredienti principali ed ogni partecipante contribuisce a creare una succulenta pallottolina offrendola all’altro, magari ammirando la bellezza degli accessori in cui i diversi ingredienti sono contenuti.

Le origini e la sua storia

L’origine di quest’abitudine è vaga: si perde nelle fuggevoli tradizioni orali delle società agricole del Sudest asiatico. Le ricerche linguistiche, però, hanno fatto un po’ di luce sull’argomento, anche se a livello archeologico non abbiamo ancora evidenze che possano confermare o confutare le teorie linguistiche, che suggeriscono come l’origine della “cicca di betel” potrebbe essere nel mondo arcipelagico indonesiano: da qui si sarebbe poi diffusa verso il Sudest asiatico continentale, per poi trasferirsi verso l’India e nel resto dell’Asia.

Le più antiche evidenze testuali dell’uso del betel sono in testi scritti in lingua Pali (sec. VI) e in poco più tarde cronache cinesi dove è menzionato un tributo di semi di areca offerto all’imperatore cinese dal Regno di Champa nell’odierno Vietnam meridionale. La prima menzione da parte di viaggiatori europei e non, è data da Marco Polo (XIII secolo) che ne notava l’uso in India, e da Ibn Batuta (1304-1369), che ne menziona l’uso in Asia estrema. Un secolo dopo, Vasco de Gama (1469-1524) ne commentava l’uso da parte delle popolazioni asiatiche. Contemporaneo al racconto di Vasco de Gama è un prezioso servizio da betel in oro rinvenuto nel deposito votivo di Wat Ratchaburana ad Ayutthaya (Thailandia), molto probabilmente in origine destinato all’uso esclusivo del Re di Ayutthaya.