L’acquisizione del fondo “Luca Raviele” all’interno delle collezioni del Museo delle Civiltà ha permesso di avviare uno studio sistematico sulla genesi e lo sviluppo della palla ovale in Italia a partire dagli inizi del Novecento.
Le dinamiche sociali, le contingenze economiche e le vicende politiche si intrecciarono inevitabilmente con le trasformazioni che investirono questo sport in un frangente storico cruciale per l’evoluzione del paese. Alla prima fase pionieristica, risalente agli anni immediatamente precedenti alla Grande Guerra e caratterizzata dall’organizzazione dei primi incontri disputati per promuovere la “nuova forma di football”, subentrò il periodo dell’istituzionalizzazione della palla ovale con la nascita della Fir e lo svolgimento dei primi campionati subito dopo l’ascesa al potere del regime fascista.
La diffusione capillare delle pratiche sportive all’interno della società italiana rispondeva all’esigenza, da parte del regime, di utilizzare lo sport come strumento di propaganda politica, attraverso cui esaltare i successi della dittatura e le virtù morali e atletiche dell’uomo nuovo fascista. Non a caso, il duce stesso del fascismo, Benito Mussolini, amava farsi fotografare e mostrarsi in pubblico in pose sportive.
Ogni record raggiunto, ogni medaglia conquistata rappresentavano altrettante vittorie per il regime.
Nondimeno, la promozione delle attività fisiche all’interno della società italiana durante il ventennio aveva lo scopo di preparare i cittadini, e soprattutto le generazioni più giovani, allo scontro armato. Lo sport era una palestra in cui plasmare e fortificare il proprio corpo in vista di una gara e di una sfida ben più importanti: il trionfo della nazione in guerra.
Anche il rugby fu fagocitato in questa prospettiva programmatica e propagandistica.
Achille Starace, segretario del Partito Nazionale Fascista dal 1931 al 1939 e presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano dal 1933 al 1939, scrisse che il gioco del rugby, «sport da combattimento, deve essere praticato e largamente diffuso tra la gioventù fascista».
Lando Ferretti, altra figura chiave del regime soprattutto sotto il profilo delle politiche legate allo sport, disse della palla ovale: «un giuoco di squadra che richiede tanto fiato, tanto coraggio, tanto vigore, tanto senso del contatto di gomito come il Rugby, è veramente l’ideale per una preparazione atletica che, mentre fa l’individuo saldo e temperato ad ogni battaglia, lo ammonisce della necessità il proprio con l’altrui sforzo per la conquista della vittoria».
Pertanto anche il rugby, come gli altri sport diffusi in Italia, divenne uno strumento di legittimazione sociale e politica del fascismo.
Al rugby attinsero anche l’Opera nazionale del dopolavoro (istituita in Italia nel 1925 con finalità sociali, assistenziali e ricreative rivolte ai lavoratori) e la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (istituzione del regime fascista sorta con lo squadrismo e riconosciuta legalmente nel 1923).
La pedagogia del tempo libero messa in atto dalla dittatura strumentalizzò pertanto il nuovo sport piegandolo ai fini delle esigenze propagandistiche e facendone un manifesto del vigore e del benessere del popolo italiano.
Le principali organizzazioni giovanili crearono delle squadre di rugby che partecipavano ai diversi campionati di settore. Tra le organizzazioni più attive nella promozione e nella diffusione dello sport della palla ovale vi erano la Gioventù italiana del littorio (organizzazione delle forze giovanili del regime fascista, dai 6 ai 21 anni, sorta nel 1937 dalla fusione dell’Opera Nazionale Balilla e dei Fasci Giovanili di Combattimento), i Gruppi universitari fascisti (organismo istituito nel 1927 con lo scopo di educare secondo la dottrina fascista la gioventù universitaria italiana e gli iscritti alle accademie militari).
I Littoriali – manifestazioni culturali, artistiche e sportive, destinate ai giovani universitari, e organizzate tra il 1932 e il 1940 – costituivano il palcoscenico ideale in cui tali compagini si confrontavano.
Gli aspetti finora descritti emergono dallo studio dell’archivio fotografico del fondo, di cui mostriamo di seguito alcune immagini.