… anche se ogni data con la quale si cerchi di separare due epoche è arbitraria, nessuna è più adatta a contrassegnare l’inizio dell’era moderna dell’anno 1492, l’anno in cui Colombo attraversa l’Oceano Atlantico. […] A partire da tale data il mondo è chiuso (anche se l’universo diventa infinito)… Gli uomini hanno scoperto la totalità di cui fanno parte, mentre – fino a quel momento – essi erano una parte senza il tutto. (Tzvetan Todorov)

Il 12 ottobre del 1492, toccando terra in una piccola isola delle Bahamas, Cristoforo Colombo, senza saperlo, era arrivato in quel grande continente che solo in seguito fu denominato America. Nessuno capì la portata della sua scoperta e l’ammiraglio dell’oceano morì nella convinzione di aver raggiunto l’Asia.
La sua impresa invece era ben più grande di quanto egli stesso avesse sognato. Con le sue navi era andato al di là dell’Orbis, il cerchio nel quale si credevano fossero inscritti i confini della Terra, e al di là della geografia medievale.
Il suo viaggio verso il Nuovo Mondo fu anche una navigazione nel tempo, un passaggio dal Medioevo al Rinascimento.

… perché l’America non si chiama Colombia…
Sebbene Colombo ne sia stato lo “scopritore”, il nome dato alle nuove terre sarà quello di America che nel rievocare la figura di Americo Vespucci attribuisce a questo navigatore la “scoperta intellettuale”.
Vespucci fu il primo a toccare la terraferma continentale e a narrarne le gesta nelle lettere di viaggio che scriverà in seguito e che, diversamente dai diarii di Colombo, saranno date alla stampa.
Il carattere “pubblico” delle sue lettere bastò a consacrare la fama di Vespucci al punto da giustificare l’attribuzione del suo nome ad un intero continente.
Il continente americano, suddiviso in tre grandi aree – Nord America, America Centrale o Mesoamerica e Sud America –, per millenni è stato caratterizzato da una straordinaria varietà di etnie e di lingue: si calcola che all’arrivo degli Spagnoli esso fosse abitato da circa 80-100 milioni di individui parlanti più di quattromila varianti linguistiche.
Era possibile trovare società di cacciatori-raccoglitori, agricoltori e società più stratificate. Molti erano nomadi, altri stanziali e altri ancora intrapresero vere e proprie espansioni ai danni di altre popolazioni.
Oggi l’enorme varietà del panorama delle culture autoctone, molte delle quali sono scomparse senza lasciare alcuna testimonianza, si è notevolmente ridimensionata tanto che in certi casi se ne conosce soltanto il nome e l’approssimativa collocazione geografica.
Ma, grazie alle culture sopravvissute e a quelle che hanno potuto essere osservate e descritte da missionari, viaggiatori ed etnografi possiamo renderci conto della ricchezza e della complessità del mondo culturale amerindiano.

America e Europa: malintesi e nuove identità
Gli Spagnoli in rotta verso le Indie, nell’approdare in America si resero protagonisti di quell’evento chiamato “Scoperta”, un colossale errore della storia che si è incarnato e tuttora si perpetua nella denominazione di “Indiani” imposta indistintamente alle diverse popolazioni native.
Con il 1492 siamo entrati – come ha detto Las Casas, il missionario difensore degli indios, – “in questo nostro tempo così nuovo e così diverso da ogni altro”.
L’impatto fu totale e completo. Gli Europei trovarono un mondo fino ad allora sconosciuto, ma che era lì da millenni, di fronte al quale essi reagirono come uomini del XVI secolo che si sentivano obbligati ad imporre la loro religione, lingua e cultura.
Come primo risultato l’Indigeno, quando sopravvisse, cessò di essere quello che era; altrettanto avvenne con lo Spagnolo “americano”, considerato nel vecchio continente come un Europeo che ormai “mangiava radici e beveva cioccolato”.
Con l’arrivo degli Africani, deportati a milioni, ebbe inizio quel complesso processo di incrocio culturale che caratterizzerà l’identità americana come meticcia.
La stessa identità dell’Europeo è radicalmente mutata in seguito a quell’incontro che non ha eguali nella storia occidentale.
Le abitudini, la dieta alimentare, la lingua sono gli ambiti entro i quali la straordinaria realtà americana ha lasciato le sue tracce a tutta l’umanità e ha trasformato il nostro modo di essere europei.
Il problema dell’identità si è posto fin dall’Epoca della conquista e c’è un errore di identità fin dall’inizio, perché Cristoforo Colombo credeva di trovare le Indie e trovò l’America. Mi sembra inoltre che i concetti di bianco, di negro, di indio, siano concetti che compaiono solo in quel momento. Fu anche un malinteso, perché prima della conquista in Europa non si parlava di bianchi. C’erano spagnoli, francesi, inglesi, slavi. D’altro canto, l’Africa si conosceva dal Medio Evo e si credeva che fosse popolata da abissini, etiopi, guineani, congolesi, ma non si parlava di negri. Il concetto di negro è molto recente, è cresciuto con la colonizzazione. La stessa cosa accadeva con gli indios: erano caribi, aztechi, incas, ecc., ma non c’erano ‘indios’. Il problema dell’identità di questi tre gruppi etnici ebbe inizio in quell’epoca (René Depestre).

Prima della conquista
I primi scopritori del continente americano, nella convinzione di essere giunti in Asia, chiamarono queste terre Indie Occidentali e i popoli che le abitavano Indî o Indiani. Ancora oggi si usano questi termini per designare le popolazioni autoctone di questo vasto territorio, così è facile trovare termini quali indios per designare le popolazioni del centro e sud America o indians per quelle del Nord. Con il passare degli anni però questo equivoco linguistico oggi si parla di Indiani d’America o ancora più frequentemente di Nativi americani.
Il popolamento di questo continente è presumibilmente da far risalire alla fase climatica dell’ultimo periodo glaciale: Pleistocene superiore, epoca quaternaria recente.
Prima della scoperta si presume che le Americhe fossero popolate da circa 80-100 milioni di individui, i due terzi dei quali raccolti nell’America del Sud. Ma già dopo appena un secolo dalla scoperta questo numero scese drasticamente del 30%.
La conquista ad opera degli Europei ha spesso cancellato le tracce di molte popolazioni di cui oggi si conoscono solo nome e zona geografica, ma in alcuni casi non si sa proprio nulla. Altre civiltà, invece, hanno lasciato tracce archeologiche di grande rilevanza: dal Messico al Perù (Maya, Aztechi ecc.) ad esempio. Altre ancora sono sopravvissute alla conquista e sono giunte fino ai giorni nostri con una parte più o meno considerevole dei propri elementi originari.
I mezzi di sussistenza erano vari e diversificati lungo tutto il continente. Nel Nord ad esempio era possibile trovare popolazioni dedite alla caccia: ai mammiferi marini (Eschimesi, Aleuti, ecc.), alle renne selvatiche e ai carbù (Athapaschi, ecc.); al bisonte (Indiani delle Praterie). Lungo la fascia costiera del Nord Ovest veniva praticata essenzialmente la pesca (Kwakiutl, Haida, ecc.), mentre nell’odierna California meridionale il mezzo di sussistenza primario era rappresentato dalla raccolta e dall’allevamento (Pueblo, Navajo, ecc.).
Nel Sud allo stesso modo vi erano popolazioni dedite principalmente alla caccia di guanaco nelle steppe australi (Chaco, ecc.); alla pesca, lungo la Costa del Pacifico, (Fungini, ecc.) e nell’odierno Brasile orientale, la risorsa principale era la raccolta (Botocudo, ecc.). Fra queste regione veniva praticata l’agricoltura: non si conosceva l’uso dell’aratro, tuttavia molte specie coltivate nell’intero continente sono entrate, dopo la conquista europea, a far parte dell’economia mondiale: pomodoro, manioca, patata, china, mais, tabacco, cacao, gomma, ecc.
Tutte queste popolazioni sono state raggruppate in base al linguaggio, definendo, così, vari raggruppamenti che in taluni casi avevano una vasta e continua diffusione territoriale, mentre in altri casi erano rappresentati da genti disperse e staccate le une dalle altre. Pur riuscendo a definire dei gruppi linguistici principali, la loro diversificazione interna era molto forte, creando viari dialetti e specificità linguistiche.
Il mondo amerindiano è stato in parte distrutto e ciò che è rimasto è stato trasformato profondamente dalla conquista europea. Nel Nord America quasi tutte le popolazioni native superstiti sono confinate in territori detti riserve, nel Centro e nel Sud i pochi superstiti sono stati salvati da un ambiente naturale poco incline all’insediamento di tipo europeo (foresta amazzonica, altipiani andini ecc.), anche se la continua ricerca di risorse naturali e il disboscamento sfrenato stanno mettendo a dura prova sia l’ambiente che queste etnie. Si ritiene che i nativi di sangue puro in tutto il continente non superino i 16 milioni ai quali sarebbero da aggiungere circa 10 milioni di meticci. Oltre alle uccisioni e alle stragi, le cause della repentina diminuzione della popolazione nativa sono dovute anche alle condizioni di lavoro schiavistiche imposte dai Bianchi e dalle malattie da loro introdotte.

Esplorazioni
La scoperta dell’America è stata ascritta al genovese Cristoforo Colombo che nel 1492, al servizio della corona spagnola, nel tentativo di scoprire una nuova via verso le Indie, raggiunse le coste americane. Prima di lui i Norvegesi raggiunsero il continente a nord nelle terre che loro stessi denominarono Vinland, anche se la loro “colonizzazione” (1003-1006 d.C.) non produsse alcun risultato. Proprio per questo motivo la data universalmente riconosciuta della scoperta dell’America è quella del 12 ottobre 1492. Colombo sbarcò su una delle odierne isole di Bahama, costeggiò Cuba e Haiti. Nel 1494 furono visitate più accuratamente queste isole insieme a Portorico e Guadalupe dove si insediò un piccolo nucleo di coloni. In un terzo viaggio, nel 1498, Colombo sbarcò sul suolo continentale meridionale alle foci dell’Orinoco, mentre Giovanni Caboto costeggiò il continente lungo le coste della Nuova Scozia, per incarico della corona inglese. L’anno successivo una spedizione spagnola al comando di Alonso de Ojeda raggiunse l’odierna Guaiana dove si divise: un gruppo con a capo Amerigo Vespucci andò a sud fino a raggiungere l’estuario del Rio delle Amazzoni e il capo San Rocco; l’altro con a capo lo stesso Alonso de Ojeda si diresse verso Nord Ovest. Nel 1500 i viaggi degli spagnoli Diego de Lepe, Pedro Alonso Niño e Vicente Yáñez Pinzón completarono la conoscenza delle coste tra il Venezuela e il Pernambuco, mentre il portoghese Pedro Alvares Cabral raggiunse la costa orientale del Brasile. Fra il 1501 e il 1502, Vespucci a capo di un gruppo portoghese costeggiò il continente dal capo San Rocco fino in Patagonia alla baia di San Giuliano raggiungendo l’estuario della Plata. Nel corso degli anni successivi molti cercarono un passaggio nella costa istmica che portasse verso il Pacifico finché nel 1520 Ferdinando Magellano non trovò lo stretto che venne poi denominato appunto stretto di Magellano.
In pochissimi anni dunque il territorio australe del continente americano fu costeggiato quasi completamente, ma lo stesso non può dirsi di quello settentrionale, dove oltre Caboto, solo due fratelli portoghesi, Gaspare e Michele Cortereal nel 1501-1502 costeggiarono le regioni di Terranova e del Labrador. La vera e propria scoperta delle coste nordamericane si ebbe con il figlio di Giovanni Caboto, Sebastiano, il quale nel 1508 su navi inglesi costeggia il continente dal Labrador fino all’odierna New York. Nel 1513 viene scoperta la Florida da Juan Ponce de León, mentre nel 1519 Alonso Álvarez de Pineta costeggia il golfo del Messico fino a scoprire le foci del Mississipi. Nel 1524 Giovanni da Verazzano con una spedizione francese raggiunge la Carolina e si spinge fino alla Nuova Scozia per poi scoprire la foce del fiume Hudson. Jaques Cartier, infine, nel 1534, nel 1535 e nel 1541 scopre il golfo di San Lorenzo, ne percorre il fiume e raggiunge Montreal. Dopo poco più di trent’anni dalla prima spedizione di Colombo il continente americano era stato dunque quasi tutto riconosciuto in tutta la sua vastità e varietà del suolo, dei prodotti e della vita umana.
Grazie anche alla perlustrazione via terra, dovuta in gran parte alla conquista del Messico ad opera di Hernán Cortés (1519-1522) e in seguito di Francisco Pizarro e Diego de Almagro, si giunse al riconoscimento della costa del Pacifico a nord, mentre a sud nel biennio 1539-40 Alonso de Camargo costeggiò la porzione di territorio compresa tra lo stretto di Magellano e il Perù. Nel 1533 Fernández de Grijalva e nel 1539 Francisco de Ulloa costeggiarono la California, mentre nel 1542 Juan Rodríguez Cabrillo raggiunse la baia di San Francisco. Gli spagnoli non si spinsero oltre a nord e dopo l’ultima spedizione del 1592 ad opera di Juan de Fuca, ci vorranno alcuni anni prima che altre nazioni europee raggiungano il lato nord occidentale del continente.
Infatti nel 1648 il russo Simone Dešnev giunse attraverso la costa siberiana a quello stretto che successivamente (1728) sarà chiamato dallo stesso Bering col proprio nome. Un altro russo, il capitano Čirikov, esplorò nel 1741 le coste meridionali dell’Alaska, mentre nello stesso anno il danese Bering costeggia l’Alaska settentrionale esplorando l’arcipelago aleutino. Nel 1778 Giacomo Cook esplorò la porzione di territorio compresa tra la Columbia britannica e l’Alaska e nel 1791 e 1794 altre spedizioni tracciarono la costa canadese del Pacifico ad opera di Alessandro Malaspina e Giorgio Vancouver.
La costa settentrionale compresa tra lo stretto di Bering e la Groenlandia è avvenuta ad opera di esploratori polari ed è perdurata per circa tre secoli: Martino Frobisher con tre spedizioni tra il 1576 e il 1578 raggiunse l’isola di Baffin; John Davis con altrettanti viaggi tra il 1585 e il 1587 arrivò ancora più a nord scoprendo le isole comprese tra quella di Baffin e le coste Groenlandesi; tra il 1610 e il 1611 Hanry Hudson scoprì la baia che da lui prese il nome e da questo momento continuarono varie spedizioni che cercarono di scoprire un passaggio che conducesse dall’Atlantico al Pacifico, passaggio che troverà solo tra il 1840 e il 1854 Robert Maclure e che tra il 1903 e il 1906 sarà percorso per la prima volta da Roald Amundsen.
Delineate le coste del continente si procedette alla sua penetrazione che iniziò in Messico con Cortéz che nell’arco di tre anni distrusse il regno azteco e si impadronì delle sue ricchezze. Lo stesso avvenne in Perù dove Pizarro distrusse il regno incaico. Da queste regioni partirono diverse spedizioni che si spinsero nell’interno del continente con lo scopo di continuare la conquista iniziata a scapito degli Atzechi e Incas.
I primi a spingersi verso l’interno furono dunque gli Spagnoli, mentre i Portoghesi fino a quel momento interessati prettamente al mercato asiatico rimasero stanziati lungo i punti costieri da loro conquistati. In seguito dopo qualche decennio iniziarono anche le loro esplorazioni verso il continente interno.
Ma dopo il XVI secolo e fino a tutto il XVIII la conoscenza geografica della porzione meridionale del continente subì un arresto poiché né gli Spagnoli né i Portoghesi intrapresero delle spedizioni e tanto meno permisero ad altre nazioni europee di entrare nei loro territori di conquista.
Nel XIX secolo iniziarono le esplorazioni scientifiche con Alessandro di Humboldt che col botanico francese Bompland negli anni tra il 1799 e il 1804 visitarono la regione andina. Seguirono le spedizioni scientifiche del 1817-20 in Brasile e Amazzonia; del 1843-47 in Paraguay, del 1858-62 in Argentina e così via.
Gli Spagnoli furono i primi a penetrare all’interno anche nella porzione settentrionale del continente. Negli anni 1540-41 Francisco Vásquez Coronado raggiunge gli altipiani dell’Arizona, seguirono altre spedizioni che non condussero all’obiettivo sperato di trovare l’oro; fu così che per almeno due secoli non vi furono altre spedizioni. L’esplorazione dell’America del Nord avvenne dunque ad opera dei Francesi e degli Inglesi: ne 1607 fu stabilito in Virginia il primo insediamento britannico, mentre nel 1608 nasceva in Canada la prima colonia francese del Quebec, da qui i Francesi si spinsero, in linea orizzontale, a ovest individuando il lago Winnipeg e poi il fiume Missouri (1731-40) giungendo fino ai piedi della Cordigliera Rocciosa; e in linea verticale verso sud discendendo il Mississipi (1673). In questo territorio lentamente si stanziarono anche gli Inglesi, mentre a Nord si crearono alcune compagnie di cacciatori di pellicce sia Francesi che Inglesi che aiutarono ad esplorare il territorio sempre più verso la regione artica.
Durante il XVIII secolo Francesi e Inglesi si spartirono gran parte dei territori, finché con la nascita degli Stati Uniti d’America l’esplorazione degli ultimi territori rimasti non andò di pari passo con l’avanzata dei pionieri in cerca di nuovi territori da coltivare e in cerca di oro. Spedizioni scientifiche si alternarono a spedizioni militari atte a scacciare i nativi spesso bellicosi. È utile ricordare le spedizioni scientifiche di Lewis e Clark che dalle praterie si spinsero fino alla costa occidentale e di Dawson che esplorò la Cordigliera Canadese. Altre spedizioni furono attuate ad opera dei servizi geologici e cartografici dei governi del Canada e degli Stati Uniti, nonché da privati in cerca di risorse naturali e minerali.
Agli inizi del Novecento la conquista di tutti i territori fu completata definitivamente, il Nuovo Continente era stato colonizzato dagli Europei.