Il sito di Shahr-i Sokhta, che in persiano significa “città bruciata” si trova nel Sistan iraniano (Iran orientale), è stato scavato dal 1967 al 1978 da una missione archeologica italiana dell’allora Istituto per il Medio ed Estremo Oriente, diretta da Maurizio Tosi. Con un accordo culturale con l’Iran, stipulato sotto la direzione di Domenico Faccenna, il Museo Nazionale d’Arte Orientale ha ottenuto di poter conservare una parte dei materiali dello scavo di Shahr-i Sokhta. Dopo un lungo periodo in cui il sito fu scavato dall’archeologo iraniano Mansur Sajjadi, la collaborazione tra archeologi iraniani e italiani è ripresa nel 2016 con il nuovo progetto dell’Università del Salento, diretto da Enrico Ascalone.

Shahr-i Sokhta fu uno dei più antichi centri urbani dell’Altopiano Iranico, si sviluppò dal 3200 al 2450/2350 a.C. circa quando l’abitato si ridusse drasticamente e in breve tempo fu abbandonata. Non si conoscono le cause precise di questo abbandono ma viene messo in relazione con la fine di molti altri siti dell’Altopiano Iranico e si ipotizza che questa crisi generale della civiltà urbana sia da attribuire ad una serie di cause quali forse un mutamento climatico e un collasso delle città dovuto ad un forte incremento demografico a seguito del quale le città non furono più in grado  fare fronte al fabbisogno degli abitanti.

La città era, tra la fine del IV e il III millennio a.C., un importante centro della lavorazione e del commercio delle pietre semipreziose, soprattutto del lapislazzuli e del turchese ma anche di alabastro, corniola, diaspro, steatite, cristallo di rocca. Shahr-i Sokhta si trovava infatti sulla grande rotta commerciale che dalle zone di estrazione di queste pietre, la regione del Badakhshan, in Afghanistan e, in minor misura, la regione dei monti Chagai in Pakistan, per il lapislazzuli; il deserto del Kyzyl Kum in Asia centrale, tra i corsi dei fiumi Amu Dar’ja  e Syr Dar’ja e sui monti Bukantau per il turchese. Dai centri di produzione in queste aree il turchese veniva avviato a Sud, nella valle del fiume Zeravshan che scorre nel Tajikistan occidentale e di lì verso il bacino del fiume Hilmand, dove si trovavano le città di Mundigak, e Shahr-i Sokhta , dove veniva lavorato e avviato sulle rotte commerciali che attraversavano l’Altopiano Iranico verso Ovest e l’area vicino orientale.

Nella sequenza di Shahr-i Sokhta sono stati identificati quattro grandi periodi: il periodo I (3200-2800 a.C.), quello della nascita del centro urbano, il Periodo II (2800-2600 a.C.) e il III (2600-2450 a.C.), quelli durante i quali il centro raggiunse la massima espansione e il più fiorente sviluppo economico. Il periodo IV (2450-2350 a.C.) nel quale l’insediamento si ridusse notevolmente per essere poi abbandonato. Ci fu infine una ripresa dell’occupazione nel 2200 a.C., nel cosiddetto “edificio bruciato” che però fu distrutto  da un incendio nel 2000 a.C.

I ritrovamenti di Shahr-i Sokhta, comprendono ceramica in grande quantità, oggetti metallici, manufatti in legno e perfino tessuti, questi ultimi, insieme ai legni, trovati in un eccezionale stato di conservazione per materiali così deperibili, grazie alla grande aridità del terreno; sono stati anche rinvenuti semi di piante che, unitamente agli oggetti in legno, hanno permesso di ricostruire l’ambiente, la flora e, unitamente a numerose ossa di animali, anche la fauna del territorio. Nelle botteghe degli artigiani che lavoravano le pietre semipreziose sono stati ritrovati utensili, materiali grezzi, schegge e scarti di lavorazione, prodotti semilavorati e prodotti finiti e si sono potute individuare le diverse e successive fasi della lavorazione, che si differenziava a seconda del tipo di pietra. Grazie alla grande quantità di schegge e scarti di lapislazzuli, alla quale non corrispondeva la presenza di oggetti in questa pietra nei corredi funerari si è giunti alla conclusione che il lapislazzuli veniva soprattutto riservato al grande commercio a lunga distanza, diversamente dal turchese che era invece presente nella necropoli e che, come si è ipotizzato, doveva essere utilizzato per la fabbricazione di monili e oggetti di lusso destinati alle classi dirigenti della città. Lo scavo di Shahr-i Sokhta ci ha permesso di ricostruire per quanto possibile l’economia e il tessuto sociale di  un centro urbano del III millennio a.C.